5 iniziative universitarie per i lavoratori in prima linea
Le aule universitarie sono vuote. Gli studenti, però, non si fermano. Con progetti universitari che vanno dalla stampa 3D di visiere protettive allo sviluppo di app per il monitoraggio della COVID-19, hanno voluto dare una mano a coloro che necessitano di particolare protezione durante questa pandemia.
1. La stampante 3D sforna dispositivi DPI
Nelle ultime settimane caratterizzate dall’intensificarsi della crisi epidemiologica, tra i tanti compiti affrontati dal Ministero della Salute, sia a livello nazionale che regionale, ce n’è stato uno di particolare rilievo: garantire una dotazione sufficiente di dispositivi di protezione individuale (DPI). Si sono esaurite le scorte di DPI laddove ce n’è maggiore bisogno e cioè in ambito sanitario e di primo soccorso. Di conseguenza, gli operatori di questi settori sono più esposti al rischio di contrarre il virus, dal momento che sono costantemente a stretto contatto con i pazienti COVID-19.
Per cercare di colmare questa carenza, in Germania, il Politecnico di Dresda (TUD), la rete di istituti di ricerca DRESDEN-Concept e la biosaxony e. V., un’associazione che include imprese nei settori della biotecnologia e tecnologia medica, hanno dato avvio ad un progetto di cooperazione. Il team di ricercatori coinvolti in questo progetto ha iniziato a produrre visiere protettive in plastica con la stampa 3D e la pressofusione. In totale sono già state fornite oltre 3.000 visiere a strutture ospedaliere, vigili del fuoco e studi medici.
Per le fasi della produzione 3D, gli istituti coinvolti nel progetto si sono avvalsi dei documenti CAD disponibili sulla piattaforma open source 3D Printing Media Network. I dottorandi ed il personale del Policlinico universitario della TU di Dresda e dell’associazione biosaxony e. V. eseguono i test di controllo qualità, poi disinfettano le visiere protettive e le preparano per la distribuzione.
“Le visiere che abbiamo ricevuto sono uno strumento fondamentale per le nostre attività quotidiane di soccorso”, spiega Michael Klahre, portavoce dei vigili del fuoco di Dresda. “Le visiere offrono una protezione efficace da potenziali infezioni, in particolare quando si intubano i pazienti che necessitano di supporto respiratorio prima di arrivare in ospedale e al momento dell’aspirazione tracheobronchiale”.
2. Visiere protettive dall’università di Warwick
Elizabeth Bishop, dottoranda presso l’università di Warwick in Inghilterra, sta lavorando su un progetto di ricerca molto simile. Insieme al suo team di studenti di ingegneria, Elizabeth Bishop, che si è specializzata in produzione additiva, sta stampando componenti per visiere protettive da fornire agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale (NHS). Con la modellazione a deposizione fusa (tecnologia di stampa 3D con filamenti di materiale plastico), la squadra di Warwick è in grado di stampare una visiera, incluse le staffe, in meno di quattro minuti.
Grazie alla progettazione parametrica con Fusion 360 di Autodesk, Bishop è in grado di utilizzare il suo progetto di visiere indipendentemente dalle dimensioni degli ugelli della stampante. Tuttavia, la dottoranda inglese sottolinea che le visiere da lei realizzate non presentano la marcatura CE, la quale certifica la conformità del prodotto agli standard di protezione previsti dall’UE. “Le nostre visiere dovrebbero essere utilizzate solo come protezione aggiuntiva o in caso di emergenza, qualora non fossero disponibili DPI certificati CE”, consiglia Bishop.
3. Concorso di design a Stanford
All’università di Stanford in California, c’è chi si sta concentrando più sulla fase di progettazione delle maschere protettive, prendendo ispirazione dal modello della start up di Brescia, Isinnova. Quando le maschere respiratorie disponibili sul mercato italiano erano diventate merce rara, Isinnova ha avuto l’idea di riconvertire le maschere da snorkeling della Decathlon in maschere per la terapia intensiva.
Una soluzione quasi perfetta: le maschere da snorkeling tradizionali stringono la testa con la loro chiusura ermetica ed indossarle per diverse ore può causare forti mal di testa e disturbi dovuti alla mancanza di ossigeno.
In collaborazione con l’Autodesk Ambassador Hub, un gruppo di Stanford sta organizzando un nuovo concorso internazionale per studenti universitari, che ha l’obiettivo di creare un design più comodo e riutilizzabile, soddisfacendo al contempo gli standard di una maschera respiratoria N95 o FFP2. Con le nuove maschere non ci sarà più bisogno del boccaglio, bensì di un filtro che trattenga le goccioline che potrebbero trasmettere virus come il SARS-CoV-2.
4. App di prevenzione
Alla fine di marzo, il governo tedesco ha organizzato un concorso digitale, un cosiddetto hackathon, con l’hashtag #WirvsVirus. L’obiettivo era quello di indicare un ventaglio di soluzioni digitali nella lotta al coronavirus. Chi era interessato a questo progetto poteva presentare le proprie idee e creare una squadra che avrebbe avuto 48 ore di tempo per elaborare un progetto oppure programmare un primo prototipo di applicazione.
Tra i 28.361 partecipanti all’hackathon vi erano anche 15 studenti e aspiranti ingegneri dell’Associazione degli ingegneri tedeschi (VDI). Andreas Stutz, ingegnere informatico di Siemens, ha creato un team di sviluppatori di software, informatici, scienziati e ingegneri meccanici per lo sviluppo di un’applicazione chiamata “Deeper”, che permette agli utenti di monitorare il decorso della malattia e rilevare se sono stati in una zona ad alto rischio di contagio.
L’app combina le caratteristiche dell’applicazione Corona-Datenspende (Donazione dati Coronavirus), sviluppata dall’Istituto Robert Koch, la CovApp creata dall’Ospedale Charité di Berlino (che raccoglie anche dati sui sintomi degli utenti e propone consigli pratici), e l’app per il tracciamento di contatti attualmente in fase di progettazione in Germania. Poiché questa tecnologia esisteva già, il team di studenti guidato da Andreas Stutz e Torben Deppe, assistenti alla ricerca presso il Politecnico di Aquisgrana RWTH, ha deciso di caricare il proprio algoritmo basato sulla probabilità su una piattaforma open source, mettendolo a disposizione di altri sviluppatori di software.
5. Webinar da Dublino: il lavoro in modalità digitale
In un periodo di isolamento e restrizione dei contatti sociali, anche il tragitto per arrivare in ufficio non fa più parte del quotidiano. Da metà marzo, il nuovo ufficio per la maggior parte dei dipendenti di tutto il mondo è diventato il tavolo della cucina o il divano.
Come sta rispondendo il settore manifatturiero alle raccomandazioni dei governi di trasferire le postazioni di lavoro nelle quattro mura domestiche? Un team del Politecnico di Dublino ha iniziato a cercare risposte a questa domanda in un webinar, incentrato sulle possibilità di collaborazione in team di progetto con l’uso di programmi come BIM 360 di Autodesk.
Oltre 100 partecipanti provenienti dai settori dell’architettura e dell’ingegneria si sono collegati al webinar sulle collaborazioni in cloud, organizzato e tenuto da Kevin Furlong e Barry McAuley, docenti di tecnologie multidisciplinari presso l’Università di Dublino. Il webinar ha messo in luce come la necessità di lavorare in digitale non sia in aumento solo a causa della crisi attuale e che probabilmente non calerà a seguito della pandemia, anzi, potrebbe continuare a intensificarsi.