Il ruolo della gestione delle informazioni di prodotto nei modelli 3D
Anche se è affascinante vedere lo schizzo di un famoso architetto – il germe di un’idea che si sviluppa in un progetto monumentale – non possiamo aspettarci che questo schizzo serva per arrivare alla fase costruttiva. Questo, però, è proprio quello che troppo spesso i produttori si trovano di fronte quando ricevono le informazioni su quello che un cliente vuole che essi realizzino.
Ma c’è un modo migliore: incorporare nei metadati di un modello 3D la gestione delle informazioni di prodotto (PMI, dall’inglese Product Manufacturing Information), che permette al sistema manifatturiero di interpretare i requisiti, stimare i costi e le scadenze e infine realizzare il prodotto. Il cliente fornisce un file che contiene tutto quello che il sistema deve sapere.
Secondo Ryan Kelly, responsabile della gestione del prodotto di Xometry, un’azienda con sede a Gaithersburg, nel Maryland, i progettisti però la usano raramente. Di solito, inviano un modello 3D e un PDF (o PDF multipli) che illustrano le loro richieste.
Xometry è un’azienda manifatturiera che offre servizi on demand di stampa 3D, lavorazione CNC, fabbricazione da lamiera metallica e stampaggio a iniezione. È una produzione “dal bit all’atomo”, che permette di trasformare in oggetti fisici le idee del cliente definite a livello di dati. Per ridurre al minimo gli errori derivanti dall’intervento umano, la produzione deve partire dai dati generati dai computer in base alle caratteristiche fisiche del prodotto.
“Generiamo decine di migliaia di preventivi ogni mese”, spiega Kelly. “Per usare la nostra piattaforma i clienti devono caricare dei modelli 3D ma raramente, in meno del 5% dei casi, traggono pienamente vantaggio dalla PMI”.
Una produzione accurata fa affidamento su clienti in grado di trasmettere le caratteristiche fisiche di un prodotto: quotatura e tolleranze (GD&T), caratteristiche e aspetto delle superfici e così via. Idealmente, anziché avere uomini che usano parole, simboli e numeri, dovrebbero essere i sistemi a comunicare tra loro.
“Perché creare due oggetti digitali diversi per lo stesso componente se questi non sono sincronizzati già fin da subito?” si domanda Kelly. “Il modello 3D non va considerato un semplice aiuto visivo, perché rendendo disponibili le informazioni relative a quote, tolleranze e altri dettagli, tutte collegate al modello come unica fonte di riferimento, si presenta proprio come la strada giusta da percorrere”.
Non sono solo i clienti piccoli a ordinare in questo modo. “Alcune delle aziende più avanzate e tecnologiche inviano un modello 3D e un documento PDF generico dicendo: ‘Ho bisogno di un prezzo per questo’”, dice Kelly.
Maggiore è il numero di informazioni annotate dai progettisti sui modelli 3D, migliore è la loro aderenza all’idea iniziale, il che è fondamentale perché un produttore possa comprenderla. Gli appaltatori devono poter capire se l’oggetto soddisferà i requisiti del cliente, valutandone anche la sua “producibilità”, cioè se il quantitativo ordinato sarà fattibile, con una qualità sufficiente, rispettando le scadenze e rimanendo nel budget.
Per sbloccare la strada alla manifattura digitale, i sistemi CAD e di modellazione 3D devono interfacciarsi con il sistema del produttore. “I sistemi di progettista e costruttore devono dialogare tra loro e questo non potrà mai funzionare senza l’ampia adozione della PMI”, prosegue Kelly.
La PMI è regolata dalle norme ISO e ANSI. “Tutti i principali produttori di CAD l’hanno adottata”, dice Kelly, “fornendo la possibilità di inserire i dati relativi alla PMI, ma i progettisti non la stanno sfruttando”.
Per quale motivo non dovrebbero usare una funzione come questa, dall’importanza ovvia? “Il sovraccarico di informazioni può essere un problema se si osservano semplicemente i render anziché utilizzarli per interagire con essi attraverso il software”, illustra Kelly. “Stiamo usando le tecniche del XX secolo per sfruttare le informazioni del XXI”.
Infatti, la maggior parte dei software di progettazione può organizzare la PMI in layer di annotazioni, mostrando volta per volta quello che è importante per utenti specifici. Nessuno ha la necessità di consultarle tutte insieme. “Chi utilizza i dati deve poter avere esattamente le informazioni importanti, quando servono”, continua Kelly.
I software CAD possono generare dati durante la creazione del disegno. Ma questi dati non sono PMI finché il progettista non li riconosce come tali: un foro di 3 cm non è una specifica finché il progettista non lo conferma.
Alla fine, la produzione sarà guidata dall’intelligenza artificiale (AI) e gli ingegneri revisioneranno gli attributi del progetto nel prodotto con la realtà aumentata (AR), ma questo scenario è impensabile senza una robusta PMI.
La maggior parte della resistenza nei confronti dell’adozione della PMI deriva dalle proprie consuetudini. “Non è una sfida tecnica: è una sfida culturale”, prosegue Kelly. “Quella che i produttori condividono con i venditori di software per la progettazione, i quali vorrebbero che i clienti usassero tutte le funzioni che vengono loro offerte”.
Molte aziende si trovano ancora nella fase di transizione dal progetto cartaceo al progetto completamente automatizzato e guidato dal modello per la produzione, dice Kelly. Queste aziende sono alla ricerca di una filiera agile e traggono vantaggio dall’innovazione tecnica rispondendo velocemente al cambiamento. Quando non possono sfruttare pienamente gli strumenti disponibili, i loro investimenti non danno i frutti sperati.
“Nel settore produttivo una buona parte della comunicazione nel processo iterativo si riduce a frasi del tipo: ‘La stampa non corrisponde al modello’”, spiega Kelly. “Non è esagerato dire che le aziende potrebbero risparmiare il 10% o più del tempo di produzione se usassero esclusivamente definizioni basate sul modello”.
Kelly fa anche notare le differenze tra il mercato del settore produttivo e i settori di architettura, ingegneria e costruzioni, dove sono messe in gioco centinaia di migliaia di euro e i progetti cartacei sono pressoché scomparsi.
“I flussi di responsabilità sono molto chiari”, dice Kelly. “L’architetto, l’ingegnere e il construction manager vogliono essere completamente certi di quali siano le responsabilità legate alla loro posizione. Possono anche basarsi su disegni stampati, ma la maggior parte delle volte li vedrete usare i tablet per lavorare sulla versione di modello più aggiornata”.
Le attese sono invece diverse nel settore manifatturiero, dove i singoli possono avere una responsabilità molto più limitata: gli ingegneri di un impianto di produzione automobilistica possono non sentirsi direttamente responsabili per la parte di progetto che va oltre l’elemento di loro stretta competenza.
La PMI sta guadagnando la sua maggiore forza nelle organizzazioni a integrazione verticale e con maggiore controllo sulla filiera, dove gli ingegneri possono basarsi su una sperimentazione più spinta grazie all’automazione del progetto e della produzione. Queste includono sia aziende di grandi dimensioni e leader di settore che startup più piccole e giovani, create con una filiera integrata e automatizzata.
“Le aziende solide e di grandi dimensioni, con processi cartacei radicati, sono quelle che fanno più fatica ad adattarsi a questo cambiamento tecnologico”, prosegue Kelly. “Non è chiaro che i vantaggi sono al posto giusto per diventare la norma”.
La PMI è già uno standard interoperabile globalmente a livello di software. Perciò, cosa potrebbe portare a una sua più ampia adozione? Secondo Kelly c’è la possibilità che l’impulso decisivo possa arrivare, tra tutti, dagli enti governativi.
“Il Dipartimento della Difesa l’ha adottata esplicitamente, in particolare in settori come la Marina, che sono coinvolti in progetti molto ampi e complessi”, dice. “Un ente di grandi dimensioni e con buone sovvenzioni occupa infatti la posizione adatta per insistere con tutti i fornitori affinché la PMI sia utilizzata come standard”.
Questo articolo è stato aggiornato. Era originariamente pubblicato nel 2019.